FORLI’. Coppa Italia di pallacanestro targata Piemonte? Certo, nessuno lo mette in dubbio. Una sola regione quest’anno ha fatto il pieno tra serie A (Torino), serie A2 (Tortona) e serie B (Omegna). Però è stata anche una Coppa Italia targata Romagna se ci pensiamo bene.
Non solo il Basket Piero Manetti Ravenna che raggiunge comunque una storica e meritata finale, ma anche il ravennate Miro De Giuli, direttore sportivo di Tortona, che la vince e un forlivese, sì un forlivese, che la sua finale l’ha giocata e, possiamo dirlo, l’ha vinta.
Parliamo di Edoardo Ugolini che a 30 anni si è appena ritagliato la soddisfazione professionale più grande della sua carriera di arbitro. E’ stato lui in coppia con Lorenzo Lupelli di Aprilia, a dirigere a Jesi la finalissima tra Omegna e Cento che è valsa il trofeo alla squadra che fu del compianto Matteo Bertolazzi e che guida il girone A del campionato cadetto con l’ex “Pieffe” Marco Arrigoni tra i suoi alfieri. Una designazione che rappresenta un sogno avveratosi come ammette lo stesso interessato, ancora emozionato a tre giorni di distanza dalla partita.
«Sono emozionato eccome, non ricordo quasi niente della partita dalla gioia mista a tensione che ho provato in campo in quell’ora e mezza e in tutte le ore che hanno preceduto la palla a due» ammette Ugolini.
Già, perché il solo fatto di essere stato selezionato nella ristretta élite dei direttori di gara di Coppa tra ben 120 arbitri di Serie B (e A2 femminile) poteva ritenersi un successo, vero?
«Eccome se lo era. Quando i designatori Auriemma e Vaccarini hanno fatto la lista dei 12 per Fabriano e Jesi, io ero già felicissimo. L’ho saputo due settimane prima dell’appuntamento e poter dirigere il quarto di finale tra San Severo e la Fiorentina di Andrea Niccolai era già una soddisfazione immensa».
Gara che, però, è andata decisamente bene per il fischietto forlivese.
«Sì, io e il mio collega Luca Attard, un ragazzo del 1996 “dal sangue grigio nelle vene” e che davvero può fare una grande carriera, abbiamo ricevuto i complimenti dei due allenatori alla fine di un match davvero bello, fisico, ma sempre corretto. A quel punto il mio lo avevo fatto, mi consideravo in vacanza e spettatore delle successive partite. Tanto più che una semifinale era Piacenza-Cento e questo significava che una formazione dell’Emilia-Romagna sarebbe stata finalista».
Il che significa?
«Si tende abitualmente a designare arbitri di altre regioni».
Invece non è successo. Come e quando hai saputo che sarebbe toccato a te?
«Sabato sera, al termine della cena nella quale eravamo accomunati tutti noi arbitri. Lì hanno detto chi avrebbe diretto la finale e quando hanno fatto il mio nome sono quasi caduto dalla sedia per l’esplosione di gioia che mi ha spinto a saltare in piedi».
Davvero non te lo aspettavi?
«Figurati, assolutamente no. Lupelli, che è un ragazzo introverso, è rimasto a mangiare dicendo “Grazie” da seduto, io che sono più emotivo ho fatto il giro del tavolo ad abbracciare tutti e poi ho dormito a stento 4 ore».
Poi è arrivata la partita. Com’è andata?
«Non è stata una bella finale dal punto di vista dello spettacolo, le due squadre erano stanche e hannogiocato in modo maschio. Non era facile gestirla, ma noi abbiamo cercato di accompagnare l’andamento della sfida pensando solo a non condizionarla facendo errori grossolani. Abbiamo fischiato le cose evidenti. Direi che siamo riusciti nel nostro intento. Le squadre ci hanno accettato, non ci sono state proteste eccessive nonostante il pathos e i tanti contatti. Alla fine della gara il nostro organo tecnico si è detto soddisfatto».
Sospiro di sollievo, quindi…
«Eccome. Se a Fabriano eravamo tranquilli perché ci sentivamo dentro il nostro mondo, quello della serie B, a Jesi era tutt’altra musica. Anzi, tutt’altro “circo”, ma in senso positivo. Televisioni, una marea di fotografi, l’intero staff della Lega Nazionale Pallacanestro, gli “arbitri Junior” da accompagnare. Questo contorno ammetto che mi ha distratto inizialmente, poi mi sono sforzato di restare il più concentrato possibile sulla gara e, nonostante non fosse facile, penso di esserci riuscito».
In più c’era l’emozione per la prima “grande finale” mai diretta.
«Ovvio. Omegna-Cento è stata di gran lunga la gara più importante che abbia mai arbitrato. Certo, ho fatto le finali nazionali Under 15, Under 16 e Under 18 che sono bellissime perché si respira ancora un basket di passioni e genuinità, ma una finale di Coppa Italia è davvero “tanta roba”».
E adesso che succede?
«Prima di tutto che questo fine settimana mi riposo. Dopo 16 designazioni consecutive mi lasciano un fine settimana libero. Poi non appena saprò quale gara dovrò dirigere, mi guarderò i filmati perché c’è bisogno di studiare squadre e giocatori sapendo tutte le loro caratteristiche mprima di scendere in campo con loro. Devo essere preparato su tutto e su tutti».
Stakanov era un dilettante al tuo confronto… Dove vuole arrivare Edoardo Ugolini? Sei stato “promosso” in serie B nel luglio 2015, ora è tempo di passare a dirigere in serie A2?
«Calma, meglio non pensarci anche se una piccola parte di me, com’è legittimo, la speranza la cova. Io non mi aspettavo neppure di dirigere le gare di Coppa e voglio continuare semplicemente a dare il massimo e a divertirmi. Più penso a un’eventuale A2, più rischio di non essere “sul pezzo” in partita. Non voglio correre neppure il rischio di distrarmi, devo solo pensare ad arbitrare bene. Vedremo a fine campionato, per salire di categoria bisogna essere bravi, ma anche fortunati».
La fortuna aiuta chi se la sa meritare, però.
«Lo penso anch’io, ma tra chi arriva all’età per smettere e chi passa da una categoria all’altra, non vi è mai certezza sui numeri. Pensa che l’anno scorso sono stati promossi in A2 ben 10 arbitri, ma l’estate precedente appena due».
Enrico Pasini