C’è una pandemia in corso che si è estesa a tutta Europa, alle Americhe e all’Africa. C’è un’Italia che soffre, che lotta nelle corsie degli ospedali e che comunque piange vittime su vittime. E poi ci sono un Presidente del Consiglio che annuncia, com’era prevedibilissimo, l’imminente estensione dei provvedimenti di blocco di persone e attività oltre la scadenza del 3 aprile e ordinanze che di regione in regione mettono un freno anche all’attività fisica individuale all’aperto.
In questo tunnel dal quale è francamente impossibile prevedere quando non solo l’Italia, ma il mondo potrà uscire, saltano uno dopo l’altro già eventi di rilevanza nazionale e internazionale programmati anche nei mesi di maggio e giugno. Eppure le principali Federazioni sportive italiane si arrovellano assieme alle Leghe per fissare quanto mai aleatorie (per non dire utopistiche) date di ripresa dei campionati. Ad ogni livello, dai professionisti della Serie A alle minors “che più minors non si può”. Il confronto tra realtà planetaria e speranze dello sport italiano rischia di essere quanto mai stridente
Il mondo del calcio fissa già al 2 maggio il potenziale ritorno in campo. Il basket ancora non si avventura in date, ma in formule sì. Quelle tese a modificare le disposizioni organizzative al fine di portare comunque a compimento i tornei di A2, B e, chissà, dalla C alla Prima Divisione.
Possibile? Negli anni ’20 Antonio Gramsci parlava di “pessimismo della ragione” contrapposto all’“ottimismo della volontà” per spiegare come al riscatto dell’uomo in una civiltà a lui nemica possa provvedere solo la forza di volontà, al di là dell’analisi fattuale che invece ci condannerebbe al pessimismo e alla rassegnazione. Vero, ma quando entrano in gioco fattori esogeni come il Covid-19 e il contesto sul quale questi intervengono e che giocoforza precede ogni ragionamento non è più locale, bensì globale, può bastare la volontà? Insomma, si può ripartire a dispetto di uno scenario attuale e futuro impossibile da prevedere e che può tenere quasi certamente tutto fermo nel Paese sino a fine aprile? D’altronde, valli a fare tornare in Italia gli stranieri che hanno già lasciato il Bel Paese come, tra gli altri, Charles Thomas e Giddy Potts di Ravenna. Come minimo non appare semplicissimo reimbarcarli sino a metà aprile. Figuriamoci entro il 23 marzo come da indicazioni dell’OraSì ai suoi.
Ecco, è per questo che non sono più solo le medie e piccole società, come Roseto, eventualmente già in difficoltà di classifica od economica a chiedere l’annullamento dei campionati di basket. No, se queste si sono mosse per prime, suscitando anche qualche commento sprezzante dal presidente federale Ginni Petrucci che ha definito «patetico» il loro ragionamento, ora anche “eminenze grigie” della pallacanestro come Carlo Recalcati reclamano la cancellazione della stagione. Come se non si fosse mai giocato.
Eppure, dicevamo, ci si prova. Come? Al momento nessuno si allena né può farlo; le porte delle palestre sono chiuse e quelle dei palasport se dovessero riaprire (quando?) per allenamenti prima e partite poi, è impensabile lo facciano solo per ospitarvi atleti e non pubblico. Sarebbe un suicidio.
Se si torna in campo, lo si deve fare a porte aperte, ma ciò allunga alle calende greche il momento della effettiva ripartenza. Certo, si potrà anche sforare il 30 giugno e giocare in palasport tropicali, ma una calendarizzazione dei recuperi di fine febbraio a inizio maggio è quanto meno improbabile. Serie A, A2 e B pensano di riattivarsi a metà maggio, ossia tra ben 2 mesi, ma ancor prima di scervellarsi sulle formule, bisogna chiedersi: con quali organici?
A2 e B sono tornei dilettantistici, per gli spostamenti degli atleti ci possono essere, e ci sono, maggiori restrizioni e a livello contrattuale minori garanzie. Scenari sotto la lente d’ingrandimento e con ripercussioni inevitabili sul 2020-2021 e la salute economica dei club indipendentemente dalla conclusione dei torni in corso. Per questi l’ipotesi è cassare in A2 fase ad orologio e Coppa Italia per andare dritti a play-off e play-out (ma con inevitabili ricorsi delle escluse e delle retrocesse), mentre per la B, con molte più gare da giocare e recuperare il quadro è più confuso che perché tante società hanno già dichiarato chiusa la propria attività
Insomma, volere è potere o il gioco non vale più la candela?
ENRICO PASINI