FORLI’. Pronti a scendere in campo, da un’altra prospettiva, ma giocando la stessa partita. Il Gruppo arbitri provinciale di Forlì-Cesena organizza due corsi gratuiti per formare nuovi ufficiali di campo e direttori di gara. L’obiettivo è allevare una nuova generazione di fischietti e di “addetti al Tavolo”, componenti fondamentali, tanto quanto giocatori e allenatori, di ogni partita di pallacanestro a qualsiasi livello.
Il corso per gli ufficiali di campo è scattato a fine ottobre con una ventina di partecipanti e lezioni tenute dall’istruttore provinciale Roberto Pantani, trentenne “udc” nazionale con esperienze d’alto livello come quella al preolimpico di Torino.
Il corso per arbitri inizierà, invece, il 27 novembre e le iscrizioni sono ancora aperte a tutti. Basta avere 14 anni (ma chi non ha compiuti 13 può comunque prenotarsi) e scrivere a cia.fo@emilia-romagna.fip.it o contattare il delegato provinciale del Comitato italiano arbitri, Edoardo Ugolini.
Abbiamo parlato proprio con lui delle motivazioni alla base di questo corso di formazione, di cosa vuole dire “essere arbitro” di basket e del perché sempre meno ragazzi scelgano di vivere il gioco da questa prospettiva.
Sì, perché una “crisi vocazionale” c’è eccome e si tocca con mano ad ogni designazione, vero Ugolini?
«Purtroppo è così. Al momento abbiamo a Forlì-Cesena appena 34 arbitri, di cui 25 di Forlì e solo 9 di Cesena, e 38 ufficiali di campo tesserati, ma di questi meno del 70 per cento è davvero attivo. E in questo insieme, un buon 20 per cento di tesserati possono considerarsi “highlander” che fanno tante, troppe gare».
Il tasso di abbandono è davvero alto. Perché?
«In generale noi preferiamo che un arbitro diventi tale dopo avere vissuto il basket come giocatore. E nella quasi totalità dei casi è così. Questo perché in tal modo si assimila cosa significa stare in campo, si ha il feeling vero con il gioco e i contatti, ci si permea della filosofia di questo sport… Insomma si conosce la pallacanestro vera. Pertanto noi arbitri abbiamo un reale bisogno che i ragazzi “restino dentro” le squadre giovanili per le quali sono tesserati, contemporaneamente dirigendo altre gare. Però troppo spesso succede che tra arbitrare un match e allenarsi o giocare una partita, loro stessi optano per la seconda ipotesi. E i loro allenatori li spingono a ciò. In tal modo, progressivamente si smette di arbitrare».
Però poi molti smettono anche di giocare…
«Esatto. Perché quando diventano Senior, in pochi giocano realmente dalla Promozione in su, gli altri fanno Uisp, Csi. In tal modo non sono né “giocatori” né arbitri. E’ un peccato. Quindi lo dico ai coach: lasciateci i ragazzi, fateli arbitrare, perché così resteranno parte vera di questo sport».
Anche organizzare un corso di formazione a questo punto è difficile?
«Certo, infatti nel 2016 scegliemmo di non farlo e di concentrarci sui ragazzi che già arbitravano per farci sentire loro vicini, per evitare che si perdessero anch’essi».
Ora però lo farete. Come si svolge?
«Saranno dalle 6 alle 8 lezioni tra teoria al Ginnasio sportivo e pratica in palestra, in quelle che riusciremo a trovare, tenute da istruttori provenienti anche dal Riminese, al termine delle quali ragazzi e ragazze compileranno un test finale e saranno poi abilitati ottenendo la tessera Cia che dà diritto all’ingresso gratuito alle partite di basket su tutto il territorio nazionale, crediti formativi scolastici e saranno designabili per dirigere partite a iniziare dalla categoria Under 15. Il corso è aperto anche alle ragazze e lo voglio ribadire. Anche perché adesso la Fip spinge molto affinché anche il movimento al femminile cresca. E un po’ sta succedendo davvero».
Partite gratis… un bell’incentivo, no?
«Per me lo è stato eccome. Io giocavo e sino a 16 anni avevo in testa solo quello. Però fare l’arbitro mi permetteva due cose: con la “paghetta” acquistavo i biglietti del treno per andare a vedere le partite entrando gratis. In questo modo la passione cresce. Anche quella per l’arbitraggio».
Quindi non sei “nato arbitro”. Come si impara a diventarlo?
«Nessuno lo nasce né può nascerlo. Esserlo non vuol dire conoscere alla perfezione il regolamento, ma è psicologia, è capacità di vincere anche i propri blocchi mentali. Guadagnarsi la tessera con il corso non significa affatto essere arbitro o sentirsi tale. La passione deve crescere in ognuno con il tempo e la pratica. E poi tutti all’inizio fischiano male. Anzi… non fischiano proprio».
In che senso, scusa?
«Nel senso che alle prime partite si è affiancati da un arbitro esperto e le decisioni le prende solo lui. Il giovane è bloccato dalla paura».
E come si supera?
«D’ignoranza. Io dico sempre: “fischiate, anche a sproposito, ma fatelo!”. Solo così prendi fiducia e consapevolezza. Poi, ovviamente ti affini».
E non sbagli più? No, no… Sbagliate eccome…
«E’ impossibile non sbagliare! Il basket è fatto di errori… Di giocatori, allenatori e anche di arbitri. Noi, però, sbagliamo molto meno di un giocatore».
Però quando capite di essere caduti in errore, come lo vivete?
«Male, ovviamente. Ci accorgiamo di quando prendiamo decisioni errate, non credere… In ognuno deve esserci, e c’è, la molla che ti spinge a non accettarlo mai intimamente. A incavolarti se te ne rendi conto, a dire a te stesso “No, due volte non posso proprio sbagliare. E’ un confronto interiore che hai con te stesso. E’ un’altra partita nella partita. Perché anche noi giochiamo e io, almeno, mi diverto pure».
Beh, certo, ma in modo diverso…
«No, giochiamo la stessa partita. Ci impegniamo e fatichiamo esattamente come atleti e allenatori. E’ solo che abbiamo i pantaloni lunghi».
E questo piace? Perché deve affascinare un ragazzo?
«Non c’è un motivo specifico affinché piaccia. Diventi arbitro vero solo quando capisci che ami farlo, però. E la motivazione è sempre personale. Quando te ne rendi conto, impari anche ad atteggiarti da arbitro. Ne assumi il contegno in campo e fuori dal campo. Diventi impeccabile come aplomb».
Un lord inglese, insomma… Scherzi a parte, ma per voi arbitri ci sono “campioni” da emulare come per i giovani che si avvicinano al basket?
«Sì, non da imitare, ma da “citare”. Questo è il termine più consono. Citare significa, osservare atteggiamenti, gesti, modo di porsi con atleti e tecnici e provare a farli propri senza scimmiottarli. Per me la fonte di ispirazione fu Davide Ramilli: lo studiavo, ma non per diventare lui, bensì per fare tesoro del suo modo di essere arbitro».
Ramilli come esempio, ma chi ti ha spinto a crederci davvero?
«Coach Guidi. Mi convinse lui, quando giocavo, a fare il corso. Spero ci siano altri allenatori delle giovanili che facciano lo stesso».
A proposito, tra clima partita e nuove regole, com’è il vostro rapporto in campo con gli allenatori?
«Molto migliorato negli ultimi tempi. C’è più cultura del nostro ruolo, adesso, il dialogo è migliorato e diventato più frequente. Con gli allenatori, adesso, possiamo davvero parlare di basket. E’ giusto sia così, perché noi insegniamo qualcosa a loro, e loro ci danno credito».
E con gli Ufficiali di campo è lo stesso?
«Distinguendo ruoli e rapporti, sì. Tutto ciò che ho detto sulla passione, sull’incentivo ad esserlo, sull’importanza del ruolo, vale assolutamente anche per loro. Provate!».
Enrico Pasini